Qual è stato il tuo percorso professionale che ti ha portato a intraprendere la professione di business coach?
Sono nato in una famiglia di imprenditori, sono cresciuto in azienda. Ricordo ancora quando a 10 anni giravo in bicicletta nell’azienda della mia famiglia. Un’azienda di abbigliamento della bassa bresciana, nel 1983 c’erano circa 300 persone. Quando ho iniziato a lavorare, nel 1996 i collaboratori erano oltre 400.
Mio padre mi ha responsabilizzato e trasmesso “pane e leadership” sin da bambino. Considera che dai 13 anni ai 20 ho organizzato da solo i viaggi premio all’estero che l’azienda offriva a 6/7 responsabili a Natale. Cina, Argentina, Marocco, USA, Giappone, Kenya, etc. Ero l’unico che parlava inglese, dovevo badare a tutta la parte organizzativa, qui è nata la mia passione per il viaggiare. Sapevo che quei responsabili un giorno o l’altro li avrei condotti io, e così è stato.
Così nel 1996, rientro da Milano, frequentavo la facoltà di Economia alla Università Cattolica del Sacro Cuore, continuo gli studi all’Università di Brescia e nel frattempo inizio a lavorare. Il papà non stava bene, purtroppo a fine 1998 passa a miglior vita e io mi trovo a gestire l’azienda di famiglia insieme ai miei fratelli (e per fortuna c’erano loro!). Mi occupo di produzione, organizzazione, amministrazione, praticamente mi occupo di ciò che gli altri non si curano, inizio a risolvere problemi.
Nel 2000 vado in trasferta per 6 mesi in Giappone dove faccio un’esperienza bellissima presso il nostro Distributore locale. Quell’anno rappresenta la svolta poiché comprendo che la globalizzazione ci avrebbe portato da li a poco seri problemi in tema di competitività di prezzo sui fattori produttivi. Così inizio a studiare viaggiare per Est Europa e Cina per trovare la migliore ubicazione per una produzione delocalizzata.
Nel 2004 inizia la mia avventura bulgara. Nel 2016, quando ho lasciato i ruoli operativi, in Bulgaria c’erano 2 aziende di produzione, create da “green field” con circa 120 persone cad., perfettamente integrate nel gruppo industriale di famiglia.
Nel 2017 inizio a lavorare come Business Coach.
Quando nasce la tua passione per il coaching?
Tante persone mi hanno sempre riconosciuto doti di leadership naturale, penso sia un mio talento, ne vado fiero. Un Business Coach con cui ho lavorato come manager mi ha poi fatto capire che avevo una propensione naturale a far crescere le persone. La mia passione per il Coaching probabilmente nasce dall’esigenza di avere responsabilità su diversi fronti (anche 6 aziende contemporaneamente!).
Ho dovuto imparare l’arte della delega abbastanza velocemente e se vuoi avere un delegato veramente responsabile devi assolutamente farlo crescere, allenarlo, farlo salire continuamente di livello manageriale.
Alcune abilità di Coaching le ho naturalmente altre le ho dovute affinare. Ho sempre avuto passione anche per il Kaizen e il miglioramento continuo è un mio mantra quotidiano.
Allora però non pensavo che avrei fatto il Coach. Strana e bella la vita eh. Lavorando, come coachee con il mio Business Coach (ho iniziato nel 2014) ho potuto apprezzare la potenza e l’efficacia del Coaching, quello vero. Mi sono innamorato del “Metodo G.R.O.W. di Whitmore”, questa splendida metodologia di costruzione dei risultati grazie a piani d’azione dettagliati.
Quando hai capito che il coaching sarebbe diventata la tua professione?
Nel 2015 nasce il mio primo bimbo, Leonardo. Io sono un imprenditore manager molto impegnato, spesso in viaggio all’estero. Praticamente Leonardo mi vede pochissimo, forse stenta a riconoscermi. Così leggo una intervista di Cesare Romiti, Amministratore Delegato della FIAT di allora, che si cruccia del fatto che ha 2 figli, ma praticamente dice di non conoscerli perché non c’è mai stato per loro. Capisco che questa situazione lo ferisce e ormai è irrecuperabile. Allo stesso tempo cresce la paura di vivere qualcosa di simile.
Cresce il malessere e lo stress. Gli impegni aumentano in continuazione, i problemi anche. Le giornate si fanno pesanti, la voglia e l’entusiasmo lasciano il posto all’obbligo e alla rassegnazione.
Maturo col tempo la consapevolezza che ho bisogno di un cambiamento, che la vita che facevo non rappresentava più i valori che nel frattempo erano mutati. Che non volevo più passare le giornate in quel modo, in quegli ambienti, con quelle persone.
Allora pianifico la mia uscita dal gruppo dirigenziale operativo delle aziende di famiglia. Creo le condizioni per il passaggio delle deleghe, formo i responsabili, aggiusto il modello organizzativo, cambio le procedure decisionali. Così nel 2017 non sono più operativo.
Inizio a vagare, penso di fare l’investitore, lo Startupper (una passione!), di studiare per fare il consulente, alla fine scelgo di fare un corso con EKIS The Coaching Company e lì sboccia l’amore per questa professione.
Cosa significa per te essere un coach?
Per me essere Coach significa anzitutto “aiutare gli altri e crescere professionalmente”. Te lo scrivo con delle keyword: coerenza, intraprendenza, responsabilità, fiducia, partnership, accoglienza, leadership e miglioramento continuo.
Io svolgo la professione di Coach, allo stesso tempo posso urlare al mondo che “IO SONO UN COACH”. Sono coerente e congruente, faccio quello che dico. Ciò che vale per i miei Coachee vale per me. Sono un essere umano, vivo le mie paure e le supero, sbaglio e imparo dai miei errori.
Per me è importante essere professionale, avere totale empatia, lavorare con dedizione e passione. Il Coaching per me è uno stile di vita, un viaggio verso l’eternità.
Quanto è importante stimolare i talenti in azienda e renderli coscienti delle proprie potenzialità?
E’ fondamentale!! E’ importante costruire la relazione con la giusta comunicazione, avere la loro attenzione. E’ determinante anche responsabilizzarli nel far loro scegliere la direzione e la vita che si vogliono costruire.
La progettualità, nel senso di avere un piano/progetto di vita, secondo me è la ricetta per lo stare bene. Questo a livello professionale e personale.
Così, quando un talento in azienda capisce la sua direzione, può iniziare a vedere le potenzialità, quello che ancora non c’è, ciò che ci sarà. E’ l’imprenditore o il responsabile che devono aiutarlo a raggiungere quella consapevolezza. Un collaboratore che si auto-realizza lavorando è un vero e proprio diamante per l’azienda.
Quali sono le difficoltà di un’azienda che possono essere superate con il coaching?
In azienda il Coaching può lavorare in diverse aree funzionali e a diversi livelli.
Per il titolare o le figure chiave c’è l’Executive Coaching, per potenziare l’efficacia personale, nella gestione di collaboratori, risorse e tempo. E’ potente per trovare le migliori strategie e prendere le giuste decisioni per creare valore a livello personale che aziendale.
L’executive Coaching è particolarmente indicato anche per passaggi generazionali e gestionali o per far crescere dei junior ad alto potenziale, futuri leader aziendali. Qui io intervengo anche con il Mentoring.
Il Coaching aziendale aiuta i responsabili a far crescere i collaboratori e a raggiungere obiettivi sfidanti, quando lo sviluppo del Business tentenna. Migliora la delega di responsabilità.
Il Coaching organizzativo è utile per la fortificazione di un adeguato assetto organizzativo, quando “serve mettere un po’ di ordine” oppure quando c’è un passaggio gestionale o crescita veloce.
Il Performance Coaching è molto utile quando le prestazioni scarseggiano. Così si aiutano ed affiancano i responsabili aziendali a lavorare per obiettivi, introdurre tecniche di Performance Management, lavorare su efficacia, efficienza, produttività, pianificazione, etc.
Qual è lo stimolo più grande quando lavori in azienda a fianco dell’imprenditore?
Mi sento co-responsabile dei suoi risultati e se penso che insieme creeremo nuovo valore per le persone sto bene. Quando accetto i progetti, li sento miei, ho un approccio imprenditoriale alla professione, mi sento partner. S’intende senza intromettermi, pressare o uscire dalle righe, sempre nel contesto che mi viene assegnato.
Spesso mi trovo in auto, mentre guido, penso ad un cliente a cerco nuove idee, connessioni, potenziali soluzioni sul percorso di Coaching individuale, ma anche sul suo Business. Se ritengo che siano valide gliele porgo, le condivido. Lo apprezzano tantissimo.
Conosco e rispetto la deontologia professionale di fare attenzione a suggerire soluzioni, a dare consigli. E’ vero e opportuno. La verità è che in alcune situazioni, quando l’imprenditore gestisce una piccola PMI e io mi accorgo che ho già vissuto quelle situazioni, mi succede di togliere per poco il cappellino da Coach e di mettere quello da Mentor.
Che cosa non può mancare ad un coach professionista?
Comunicazione, passione, amore per la conoscenza e la competenza, coerenza, mindset di crescita, dialogo interno fortificante, ascolto attivo, abilità di fare domande.
Ma anche sapersi promuovere e vendere, avere un posizionamento (coerente con il background!!), una strategia per attaccare il mercato e una comunicazione per farsi conoscere.
5 libri che hanno ispirato la tua professione?
- “Coaching” di Whitmore
- “Enciclopedia del Coaching” di Wilson
- “MicroCounseling e MicroCoaching” di Spalletta e Germano
- “Business Coaching” di Cardani
- “Manuale applicativo di Coaching” di Tommasi
Progetti per il futuro?
Andare a vivere a Miami!! E’ un sogno, è per i nostri bimbi, ne abbiamo 2 e ora aspettiamo il terzo maschio.
Professionalmente parlando, sento di essere arrivato al monento in cui è necessario passare dal modello “one to one” al “one to many”. Sto lavorando ad un bel progetto sul Time Management, lo scoprirete tutti a settembre 2022.